Geologia, sismica e suoli

I Geositi dell'Emilia-Romagna

Approfondimento

I termini in ordine alfabetico

C |  D |  F |  I |  T | 
Calcari a Lucina

I calcari a Lucina sono corpi geologici di natura calcarea, aventi dimensioni sempre relativamente limitate, che si presentano incassati in diverse successioni sedimentarie dell'Appennino settentrionale, di età diversa. Dal punto di vista litologico sono composti da calcari, calcari marnosi, calcareniti e marne e possiedono strutture brecciate e nodulari, variamente disordinate, in cui si riscontrano più o meno abbondanti, e con diversi gradi di conservazione, i resti fossili di molluschi, tra cui dominano i bivalvi e in particolare quelli dei generi Lucina e Modiola. Rispetto alla presenza di resti e alla loro conservazione, gli affioramenti di calcari a lucina sono spesso considerabili come veri e propri giacimenti fossiliferi. Le Lucine hanno dimensioni fino a 15 cm e valve unite, sono sparse o concentrate in nidi, in associazione a Modiole. Sino a pochi anni fa questi molluschi erano considerati tipici di mare basso e l?associazione con foraminiferi planctonici talora abbondantissimi della matrice, che indicava un "dualismo" di paleoambienti, aveva condotto ad ipotizzare per gli ammassi di calcari a Lucine, meccanismi di messa in posto complessi, di tipo gravitativo, attraverso franamenti "multipli" in grado di trasportarli da zone costiere ai fondali più profondi del bacino nei quali avveniva la sedimentazione pelagica normale, responsabile dell'arricchimento in foraminiferi planctonici.

Secondo gli studi più recenti invece questi corpi rocciosi rappresentano particolari colonie di fossili che sarebbero in posto rispetto alle rocce che li avvolgono. Le singolari associazioni fossili sarebbero associate, infatti, a emissioni fredde di metano e acido solfidrico sui fondali marini profondi, in corrispondenza delle principali discontinuità tettoniche. Attorno alle emissioni gassose si sarebbe sviluppato un ecosistema paragonabile a quelli scoperti dal sottomarino Alvin nel 1977 durante le esplorazioni dei fondali degli oceani attuali, dove si osservarono per la prima volta colonie di vari organismi attorno a sorgenti idrotermali profonde (fumarole nere). Questi ecosistemi si basano sulla presenza di batteri che vivono sintetizzando i prodotti chimici che fuoriescono dalle emissioni, dove i molluschi vivono grazie a legami di simbiosi con i batteri. Questa ipotesi è sostenuta da numerosi dati scientifici, in particolare quelli forniti dalle analisi isotopiche svolte sui calcari dei gusci.

 

 

 

Colle di Vigoleno
Colle di Vigoleno
Colle di Vigoleno
Colle di Vigoleno

In prossimità dello spartiacque tra le valli dello Stirone e del'Ongina si alza, ripido e boscato, il rilievo su cui sorge Vigoleno, che domina il parco segnandone il confine sudoccidentale. Le rocce che vi affiorano, di colore beige e nocciola chiaro, sono arenarie e calcareniti la cui sedimentazione avvenne nel corso del Miocene medio, in piccoli bacini marini collocati sopra le argille liguridi, la cui profondità non superava qualche decina di metri. Queste rocce, anch'esse a tratti riccamente fossilifere (in particolare lungo affioramenti del versante che scende verso l'Ongina), hanno subito, successivamente alla loro sedimentazione nel corso delle più recenti fasi orogenetiche, un certo trasporto tettonico, che le ha smembrate (disarticolate) in più lembi (parti). Costituito da rocce che presentano una abbondante frazione calcarea che ha fovorito lo sviluppo di piccoli fenomeni carsici a cui sono legate alcune piccole cavità, caretterizzate dallo sviluppo di sale e cunicoli e con interessanti concrezionamenti.

 

 

 

Diagramma ternario del M. Prinzera (A)
Diagramma ternario del M. Prinzera (A)
Diagramma ternario del M. Prinzera (A)
Diagramma ternario del M. Prinzera (B)
Diagramma ternario del M. Prinzera (B)
Diagramma ternario del M. Prinzera (B)
Diagramma ternario del M. Prinzera

Diagramma di classificazione ternaria delle acque del M. Prinzera (Mg-(Na+K)-Ca in meq/l). Mentre le acque che interagiscono principalmente con i basalti (area Taro Valley, asta principale ed affluenti; dati da Boschetti et al., 2013) presentano un chimismo prevalentemente Ca-HCO3, le acque provenienti dalle serpentiniti sono contraddistinte da tre "facies geochimiche": bicarbonato calciche, bicarbonato magnesiache e iperalcaline (cioè con pH alto, fino a 11). L'evoluzione composizionale è indicata dalla linea nera tratteggiata.

 

 

 

Formazione Marnoso Arenacea
Formazione Marnoso Arenacea
Formazione Marnoso Arenacea
Formazione Marnoso Arenacea

Nell'Appennino romagnolo affiora estesamente una formazione geologica chiamata, per la sua composizione, Marnoso - Arenacea. Gli strati che la formano, un'alternanza ritmica di arenarie e marne, si depositarono su fondali profondi (ambienti di piana bacinale) durante il Miocene (tra il Burdigaliano superiore e il Tortoniano superiore). In questo periodo il sollevamento dell' Appennino era già iniziato ma la catena montuosa ancora non emergeva dal mare e al suo fronte, verso NE si era venuto a creare un bacino marino strett o e profondo, allungato sino ai piedi delle Alpi. Qui, per un lungo periodo, la sedimentazione fu dominata dal sopraggiungere di correnti sottomarine improvvise e violente , dette correnti di torbida, in grado di trasportare enormi volumi di detriti sabbio si e argillosi in un tempo geologicamente istantaneo. Ogni strato che si osserva rappresenta quindi il prodotto di questo processo di trasporto e sedimentazione ed è generalmente costituito da una 'coppia' di rocce diverse: alla base il detrito grossolano, sabbioso, forma un letto di arenarie, mentre verso l'alto il sedimento più fine, argilloso, forma un letto di marne. Le rocce derivate da questo tipo di sedimentazione sono chiamate torbiditi. Molti dei granuli sabbiosi della Marnoso Arenacea derivavano dall'erosione di rocce alpine, testimoniando che queste montagne erano già emerse dal mare ed erano solcate da fiumi che finivano nello stesso mare che bordava l'Appennino.

 

 

 

Inferno - Canto XVI [94-108]
Inferno - Canto XVI [94-108]
Inferno - Canto XVI [94-108]
Inferno - Canto XVI [94-108]

Come quel fiume c'ha proprio cammino
prima dal Monte Viso 'nver' levante,
da la sinistra costa d'Apennino,        96

che si chiama Acquacheta suso, avante
che si divalli giù nel basso letto,
e a Forlì di quel nome è vacante,       99

rimbomba là sovra San Benedetto
de l'Alpe per cadere ad una scesa
ove dovea per mille esser recetto;      102

così, giù d'una ripa discoscesa,
trovammo risonar quell'acqua tinta,
sì che 'n poc'ora avria l'orecchia offesa.    105

Io avea una corda intorno cinta,
e con essa pensai alcuna volta
prender la lonza a la pelle dipinta.      108

 

 

 

Trubi

Con il nome di Trubi si indica una formazione geologica che venne per la prima volta descritta in Sicilia nel 1871 da Annibale Mottura, costituita da un'alternanza ritmica di marne e calcari ricchi in plancton calcareo di colore variabile da bianco a giallastro o a bruno, in strati dello spessore di 20-30 cm, sino al metro e più. La formazione è in appoggio al tetto della Formazione Gessoso-Solfifera. Il Trubi mostra una ripetizione tra gli strati (ciclicità), la cui origine risiede verosimilmente nelle variazioni periodiche dell'orbita terrestre, a cui sono da ricondurre le variazioni climatiche che hanno scandito i mutamenti periodici nella sedimentazione a cui si devono le alternanze chiaro-scure degli strati.

Nella sezione di Eraclea Minoa alla base del Trubi è stata riconosciuto il limite ufficiale tra Miocene e Pliocene (GSSP - Global Stratigraphic Section and Point).

 

 

 

 
Strumenti personali

Regione Emilia-Romagna (CF 800.625.903.79) - Viale Aldo Moro 52, 40127 Bologna - Centralino: 051.5271

Ufficio Relazioni con il Pubblico: Numero Verde URP: 800 66.22.00, urp@regione.emilia-romagna.it, urp@postacert.regione.emilia-romagna.it