Stretta fluviale originata da sponde rocciose formate da calcareniti della Formazione di Pantano, sopra la scarpata rocciosa in sponda destra esemplare terrazzo alluvionale.
Geografia
Superficie totale: 18.81 ettari.
Quota altimetrica minima 158.8m. s.l.m., quota altimetrica massima 206.3m. s.l.m.
Perimetro geosito e Carta geologica
Descrizione
L'alveo del Fiume Secchia, dopo essersi allargato nei pressi di Roteglia, alla Stretta del Pescale improvvisamente si restringe, per poi allargarsi nuovamente più a valle, all'altezza di Castellarano. Il restringimento è provocato da uno sbarramento naturale, di tipo strutturale e costituito da un pacco di strati di areniti mioceniche (Formazione di Pantano: arenarie a cemento calcareo della base del "Gruppo di Bismantova"; si veda la seconda parte della scheda). Le pareti si presentano strapiombanti sulle acque del Secchia e del Rio Pescarolo per un'altezza di circa 30 m.
La sommità dell'affioramento calcarenitico, compreso tra l'alveo del F. Secchia ed il vicino affluente Fosso Pescarolo, si presenta spianata da una superficie terrazzata, posta ad una quota di circa 200 m, ricoperta da ghiaie, e sospesa rispetto all'alveo fluviale di circa 30 m: si tratta di uno degli esempi più evidenti di antiche superfici terrazzate presenti nella Provincia di Modena. Queste superfici rappresentano lembi relitti di corpi di aggradazione pleistocenici, dovuti alle condizioni periglaciali instauratesi sugli Appennini, come conseguenza di quegli stessi peggioramenti climatici che produssero condizioni glaciali sulle Alpi. La superficie terrazzata del Pescale, spianata dall'erosione fluviale del F. Secchia, è rimasta esposta per lungo tempo, come testimonia il suolo, molto spesso ed alterato, sviluppatosi sulla sua sommità.
Poco sopra la quota d'alveo, in destra idrografica è presente una cavità d'erosione fluviale, impostata in corrispondenza di una frattura, il cui ampliamento, tuttavia, è stato in parte d'origine artificiale, in quanto è stato asportato anche un livello di lignite, che era contenuto nelle areniti. Lo sviluppo della cavità è di m 20, con un dislivello di 10 m.
I ritrovamenti archeologici
Sopra la superficie terrazzata posta in destra idrografica, all'estremità sud della Stretta del Pescale, e localmente denominata "Il Castellaro", ebbe vita tra la fine del V (o gli inizi del IV) millennio e la fine del III millennio (4.000-2.800 a.C.) un abitato neolitico. I resti dell'insediamento vennero in luce a partire dalla fine dell'Ottocento con le indagini di Giovanni Canestrini, professore di zoologia nell'Università di Modena, e di Gaetano Chierici. In particolare l'archeologo reggiano Gaetano Chierici effettuò, nel 1866, alcuni saggi archeologici nel settore nord-nordest del terrazzo, che portarono alla scoperta dell'abitato Neolitico e, negli strati superficiali dell'insediamento, dei resti di un villaggio eneolitico (3.500-1.800 a.C.).
Gli scavi sistematici del naturalista e archeologo modenese Fernando Malavolti consentirono di definire la natura dell'insediamento, un villaggio preistorico sviluppato su una superficie di almeno 2.600 mq, costituito da alcune grandi capanne, leggermente scavate nel terreno, con pareti e copertura di materiale ligneo, a volte intonacato d'argilla.
Tra il 1937 ed il 1942 Malavolti effettuò una serie di sopralluoghi e ricerche di superficie che gli consentirono di individuare, ai piedi delle pareti rocciose che formano la sponda sinistra del Rio Pescarola, le tracce dei punti d'estrazione della selce lavorata, che si è trovata sul terrazzo: si tratta di strati a dominante selciosa ("livelli selciosi"), caratterizzanti la Formazione di Contignaco e sui quali poggiano i terreni del Gruppo di Bismantova o direttamente quelli della Formazione del Termina.
Dai livelli più superficiali della spianata del Castellaro, rimescolati e sconvolti dai lavori agricoli, si raccolsero frammenti ceramici dell'Età del Bronzo e Romana, testimonianti una lunga frequentazione umana della superficie terrazzata.
Il geosito del Pescale ha, inoltre, un discreto interesse anche da un punto di vista stratigrafico. Ancora in corrispondenza delle scarpate verticali lungo l'alveo del F. Secchia (sponda destra) e di quelle presenti nella vicina Val Pescarolo, lungo la strada provinciale Sassuolo-Prignano, è possibile osservare le caratteristiche litologiche ed i rapporti stratigrafici reciproci di alcune unità litostratigrafiche epiliguri: la Formazione di Contignaco, la Formazione di Pantano e la Formazione del Termina.
Gli affioramenti della Formazione di Contignaco sono osservabili nell'alveo del Secchia, poco a valle della briglia parzialmente crollata. La successione immerge verso monte e, dal basso, è costituita da almeno due orizzonti cineritici (1,5 e circa 8 m di spessore) di colore chiaro, costituiti da una base arenitica medio-fine, passante a cineriti fini e finissime.
Questi orizzonti sono facilmente distinguibili per il basso peso specifico della roccia. Essi passano poi, verso l'alto, ad una serie di alternanze torbiditiche arenaceo-pelitiche, in parte silicizzate e di colore più scuro. Il passaggio discontinuo alla F. di Pantano non è direttamente osservabile per la presenza di un tratto coperto di circa un metro, ma è intuibile al di sotto della spalla destra (lato monte) della briglia crollata. Qui è, infatti, possibile osservare un piccolo affioramento di peliti grigio scure, debolmente silicizzate (Formazione di Contignaco) e, poco a monte, le arenarie grigie, bioturbate, con granulometria da fine a grossolana e a stratificazione piano-parallela (Formazione di Pantano). L'affioramento di questa formazione prosegue poi, per parecchie decine di metri, lungo la sponda destra del Secchia con varie caratteristiche in termini di facies. Piuttosto interessante è anche la presenza di numerose mesofaglie dirette entro la stessa formazione. Il contatto tra le due formazioni rappresenta un'importante discontinuità di età burdigaliana (Miocene inferiore) che segna il passaggio da depositi di mare relativamente profondo ad altri di piattaforma mista, carbonatico-terrigena. Tale passaggio è ben visibile entro il T. Pescarolo a tergo degli edifici rurali della località Pescale, poco a valle del ponte della strada provinciale; in questo punto, alla base della F. di Pantano, è presente un orizzonte di arenarie medio-grossolane, glauconitiche.
Lungo la provinciale per Prignano poco a sud del bivio per la Val Pescarolo è possibile osservare anche il passaggio tra la Formazione di Pantano (arenarie grigie stratificate immergenti verso nord) e le peliti (marne sabbiose grigie) della Formazione del Termina. Il contatto appare brusco e discordante e rappresenta una discontinuità stratigrafica marcata da una significativa lacuna temporale. La base della Formazione del Termina (il cui assetto è concordante con la superficie d'appoggio, come intuibile da uno straterello arenaceo male affiorante, in alto a sinistra guardando la scarpata) ha, infatti, un'età riferibile al Serravalliano superiore - Tortoniano (Miocene medio-superiore). Dal punto di vista paleoambientale, il contatto rappresenta il passaggio da facies di piattaforma esterna a facies di scarpata - bacino. In corrispondenza dell'alveo del T. Pescarolo e sul versante settentrionale del crinale, in destra del T. Pescarolo, è poi visibile il contatto diretto, in discontinuità, tra F. del Termina e la sottostante F. di Contignaco.
Il sito è particolarmente importante per la possibilità di osservare, con facilità, i rapporti tra le formazioni epiliguri mioceniche e le caratteristiche di litofacies (particolarmente ben evidenti) della Formazione di Pantano nel basso Appennino modenese, differenti da quelle presenti in zone più meridionali. Di particolare importanza è poi la presenza degli orizzonti cineritici, che sono, per potenza, i maggiori di tutto l'Appennino modenese.
I contenuti informativi presenti in queste pagine non forniscono indicazioni sulla sicurezza dei luoghi descritti o, in generale, sulla loro accessibilità in condizioni di sicurezza. I geositi hanno valore geoscientifico e/o paesaggistico e sono spesso accessibili solo da una utenza esperta, adeguatamente attrezzata. La visita a questi luoghi deve avvenire rivolgendosi a guide escursionistiche abilitate e si consiglia pertanto di informarsi puntualmente prima di accedervi, consapevoli dei rischi cui ci si espone.
I geositi carsici, che si sviluppano in valli cieche, doline, inghiottitoi, grotte, forre ecc., per una visita richiedono ulteriori competenze specifiche, attrezzature adeguate e la presenza di Speleologi esperti. Gran parte di questi ambienti si trova all'interno di Parchi, Riserve naturali e Aree protette e quindi l'accesso è sottoposto a regolamentazione specifica. Le visite, limitate comunque a poche cavità adeguatamente attrezzate, possono essere svolte accompagnati da Guide Speleologiche riconosciute dai Parchi. Per visite che abbiano uno scopo di ricerca e studio ci si può avvalere degli Speleologi dei Gruppi affiliati alla Federazione Speleologica Regionale dell'Emilia-Romagna (www.fsrer.it).
La Regione si solleva al proposito da qualunque responsabilità.