I contenuti informativi presenti in queste pagine non forniscono indicazioni sulla sicurezza dei luoghi descritti o, in generale, sulla loro accessibilità in condizioni di sicurezza. Le cavità naturali e i geositi hanno valore geoscientifico e/o paesaggistico e sono spesso accessibili solo da una utenza esperta, adeguatamente attrezzata. La visita a questi luoghi deve avvenire rivolgendosi a guide escursionistiche abilitate e si consiglia pertanto di informarsi puntualmente prima di accedervi, consapevoli dei rischi cui ci si espone.
I geositi carsici, che si sviluppano in valli cieche, doline, inghiottitoi, grotte, forre ecc., per una visita richiedono ulteriori competenze specifiche, attrezzature adeguate e la presenza di Speleologi esperti. Gran parte di questi ambienti si trova all'interno di Parchi, Riserve naturali e Aree protette e quindi l'accesso è sottoposto a regolamentazione specifica. Le visite, limitate comunque a poche cavità adeguatamente attrezzate, possono essere svolte accompagnati da Guide Speleologiche riconosciute dai Parchi. Per visite che abbiano uno scopo di ricerca e studio ci si pụ avvalere degli Speleologi dei Gruppi affiliati alla Federazione Speleologica Regionale dell'Emilia-Romagna (www.fsrer.it).
La Regione si solleva al proposito da qualunque responsabilità.
L’accesso alla cavità è regolamentato. Per le visite è necessario rivolgersi al Parco regionale della Vena del Gesso Romagnola.
La caverna iniziale fu esplorata da Mornig, che tentò di ribattezzare la cavità “Grotta Gianni di Martino” in onore di un suo conoscente, giornalista del “Resto del Carlino”. Tale denominazione fu però ben presto abbandonata nella letteratura speleologica.
Questa caverna è di gran lunga l’ambiente carsico più conosciuto dei Gessi di Brisighella.
Il nome storico della grotta deriva evidentemente da “Tana”, termine usato in Romagna per indicare le cavità naturali di dimensioni maggiori.
La caverna, in parte ingombra di grossi massi di frana, è il probabile punto di risorgenza, ormai fossile, del torrente che attualmente scorre una decina di metri più in basso e che è possibile raggiungere scendendo lungo una frana ubicata sul lato ovest della caverna stessa. Sempre dalla caverna, ben visibili subito a destra dell’entrata, è possibile accedere ad una serie di ambienti, che si sviluppano tra meandri e frane, scavati dalle acque che, un tempo, fuoriuscivano dalla grotta in questo punto. Il fatto che si tratti del paleocorso del torrente della Tanaccia è confermato dalla sostanziale contiguità con i Buchi del Torrente Antico, il cui ingresso alto è ubicato a pochi metri di distanza.
A partire dal 1989 il normale accesso avviene attraverso un tunnel artificiale lungo una cinquantina di metri, che permette la fruizione della grotta a livello turistico. L’uso di esplosivi ha reso la frana di accesso particolarmente instabile; si consiglia pertanto di accedere alla cavità soltanto attraverso il tunnel artificiale. Questo intercetta la grotta direttamente lungo il ramo attivo. A valle, il torrente scompare subito tra massi di frana lungo un percorso descritto in seguito. Normalmente si prosegue invece verso monte camminando comodamente nel letto del torrente, qui caratterizzato, come in gran parte del percorso, da spessi crostoni calcarei. Qualche metro più sopra e all’altezza della caverna iniziale, si sviluppano i rami fossili. Sulla verticale si apre infatti un’ampia sala dal soffitto modellato da pendenti anti-gravitativi e intersecata da alcune condotte dalle sezioni chiaramente sagomate dall’acqua.
Il ramo attivo prosegue in direzione sud-ovest fino a giungere in un ambiente più ampio: la Sala delle Sabbie o dei Pendenti. Il nome fa riferimento ai depositi di sabbia presenti sulla destra idrografica del torrente e che derivano dall’erosione della formazione Marnoso-arenacea affiorante, in particolare, lungo la valle cieca sotto Ca’ Varnello, la quale drena le acque che poi scorrono, appunto, nella Tanaccia. La sala è anche caratterizzata da notevoli solchi di erosione antigravitativa che interessano tutta la volta. Tramite un camino, interessato da stillicidio, si può accedere ad una sala superiore. Questa è caratterizzata, a nord, da un meandro che sale a spirale e, a sud, da una lunga condotta, regolare e sabbiosa, che conduce alla sommità di una grande colata calcarea che si incontra poco più avanti nel ramo attivo. A monte della sala, all’incrocio di due fratture diversamente orientate, il torrente descrive un’ansa proseguendo in direzione sud est-nord ovest. Un altro ambiente, contiguo alla Sala delle Sabbie, è stato generato dallo scollamento di un interstrato. Qui giunge un ramo secondario che prosegue per alcune decine di metri lungo un meandro che, in caso di forti piogge, si attiva, generando un piccolo corso d’acqua che confluisce nel torrente principale proprio nei pressi della Sala delle Sabbie.
Oltre questa sala, la condotta prosegue, ora in direzione sud est-nord ovest, sempre lungo il torrente e sempre con la presenza, ai lati, di notevoli riempimenti sabbiosi. Da notare, qui, la grande colata calcarea, alta una decina di metri, che scende dalla parete di sinistra e la cui sommità è raggiungibile anche tramite il percorso precedentemente descritto. Pochi metri più a monte si raggiunge un’altra sala caratterizzata, ancora una volta, da riempimenti sabbiosi e da pendenti anti-gravitativi, anche qui di notevoli dimensioni. Dopo la sala, la volta di abbassa e, lungo il corso del torrente, si percorre un laminatoio oltre il quale si apre un meandro alto una decina di metri e con notevoli forme di erosione. Dopo poche decine di metri si giunge alla Sala del Guano, ambiente caratterizzato dalla presenza di grandi blocchi di gesso, ricoperti di guano e sotto i quali scorre il torrente. Nella sala, fino al 1989, svernava una numerosa colonia di Miniopterus, forse a suo tempo tra le maggiori osservate nel Nord Italia. Da segnalare, sul lato nord-ovest di questa sala, la presenza di un alto camino, ancora inesplorato. Da questo camino, interessato alla base da uno spesso crostone calcareo “a mammelloni”, scende, di norma, un forte stillicidio che, in caso di precipitazioni prolungate, si trasforma in un torrentello che subito confluisce nel corso d’acqua principale. Oltre la frana, sul lato sud-ovest della sala, si ritrova il torrente il quale prosegue, a monte, fino al collegamento, oggi non percorribile a causa dei sedimenti che hanno in parte occluso la condotta, con il Buco I sotto Ca’ Varnello.
Dalla Sala del Guano è possibile raggiungere, da più punti, altre sale, ubicate alcuni metri sopra di questa. A sud-ovest si apre la Sala Piatta, generata dallo scollamento di uno strato. Da qui si può raggiungere, a sud, la Sala del Laghetto, un ambiente interessato da colate calcaree e da un piccolo bacino alimentato da stillicidio. Infine, da questa sala, in direzione nord-est, si raggiunge la Sala dei Crolli, che, a nord, è contigua alla Sala del Guano.
Il ramo attivo a valle
Nel punto di intersezione tra il tunnel artificiale e la galleria naturale, con un passaggio in frana, è possibile accedere al corso inferiore del torrente. Tramite un salto di pochi metri si giunge in una saletta dove, da alcune fessure laterali, si intercetta il corso d’acqua. Tramite un altro saltino si scende in un’alta frattura con andamento sud est-nord ovest; dopo un terzo saltino il meandro si fa più stretto e basso fino ad un passaggio piuttosto angusto e molto bagnato. Poco oltre l’ambiente si amplia; le pareti ricoperte da detriti e fango testimoniano i recenti livelli di sovralluvionamento. Da destra confluisce qui una piccola diramazione attiva che si può percorrere in salita per alcuni metri. In basso, l’acqua scorre in sinuose condotte piuttosto strette e fangose fino alla saletta terminale, dove il torrente sparisce in una polla impraticabile. Poco prima del fondo, sulla sinistra, si può risalire una bella condotta, alta alcuni metri con depositi carboniosi, segno di un antico collegamento diretto con l’esterno.