Gessi bolognesi tra i torrenti Zena e IdiceGeosito di rilevanza regionale - area carsicaGeosito compreso nel sito UNESCO "Carsismo e Grotte Evaporitiche nell'Appennino Settentrionale"Affioramenti di gessi messiniani segnati da forme carsiche superficiali e nei quali si sviluppano importanti sistemi idrogeologici carsici comprendenti numerose grotte. Lungo l'alveo dell'Idice è esposta una successione stratigrafica di notevole interesse.
Geografia
Perimetro geosito e Carta geologica
Descrizione
Nella zona del Farneto si osservano una serie di affioramenti di particolare interesse, che dal fondovalle Zena si alzano verso Ronzano creando dorsali pronunciate che ricalcano le principali banconate gessose. In questo settore gli strati presentano giaciture fortemente inclinate con immersione verso nord. Negli affioramenti lungo il fondovalle si apre la Grotta del Farneto, forse la più nota cavità dei gessi bolognesi.Venne scoperta e esplorata nel 1871 da Francesco Orsoni, che ne mise subito in luce l'importanza archeologica. La grotta si sviluppa su due livelli per un totale di 870 m e una profondità di 44 m. Il ramo inferiore presenta uno scorrimento idrico che sfocia in una risorgente lungo l'alveo dello Zena. Il livello superiore, dove si osservano forme modellate dall'erosione antigravitativa, rappresenta probabilmente la risorgente fossile. Malgrado sin dagli inizi di questo secolo la grotta abbia lo statuto di Monumento Nazionale, subì per decenni forti disturbi derivanti dall'attività della adiacente cava. Il maestoso portale che aveva accolto gli uomini della preistoria, compromesso dai lavori di estrazione con utilizzo di esplosivi, nonostante i pesanti e costosi interventi di stabilizzazione degli anni scorsi è stato definitivamente cancellato da un crollo nella primavera del 1991. Questa cavità e parte del territorio circostante (l'ex Cava Calgesso, la casa natale di Fantini e il bosco soprastante) furono acquistati nel 1974 dai comuni di San Lazzaro e Bologna e dalla Provincia allo scopo di recuperare il sito e avviare la sua fruizione turistico-scientifica. Oggi questi progetti sono stati parzialmente modificati a causa della grave instabilità delle pareti di cava. Nella zona si apre anche la grotta di Cà Fornace, lungo le falesie selenitiche che si alzano verso Ronzano, caratterizzata da uno scorrimento idrico piuttosto intenso, e la grotta Silvio Cioni, che si apre in vicinanza della cava e che è rimasta dopo la sua scoperta, avvenuta nel 1956, per lungo tempo occlusa da una frana. Recentemente questa cavità è stata rivisitata e, a seguito di esplorazioni, unita alla vicina Grotta a Ferro di Cavallo. La grotta Cioni riveste un certo interesse idrologico essendo percorsa dal piccolo torrente ipogeo che costituisce una delle risorgenti del Farneto. Negli anni '60 Luigi Fantini rinvenne, in un riparo naturale creato da uno strato sporgente (sottoroccia) alcune sepolture riferibili all'età del Rame. Gli importanti reperti ritrovati presso la grotta e il sottoroccia sono esposti al Museo Archeologico di Bologna. Sconvolto dai lavori di cava questo affioramento presenta strati di gesso in giacitura quasi verticale. Per le pesanti attività estrattive oggi questa parete è estremamente pericolosa per le frane e le improvvise cadute di massi, e per tale motivo è recintata. Anche la grotta del Farneto ha l'ingresso ostruito da una grossa frana verificatasi recentemente. Nella zona soprastante il Farneto, gli affioramenti gessosi sono modellati da due grandi doline. La Buca dell'Inferno, posta più a est, deriverebbe il nome dalle emissioni di nebbie, simili a fumo, che fuoriescono, in particolari giorni dell'anno dai numerosi inghiottitoi che si aprono in questa dolina. Tra questi si trova la Grotta Coralupi, scoperta nel 1933 dal GSB, che ha uno sviluppo di 320 m e una profondità di 33 m ed è strutturata su due livelli sovrapposti con andamento piuttosto inclinato. L'ambiente più vasto è una sala che si sviluppa a poca distanza dalla superficie, la Sala delle Radici, che deve il nome alle grosse radici che pendono dal soffitto; in prossimità si trova anche una concrezione alabastrina molto sviluppata, di intenso colore rosso aranciato per la presenza di ossidi di ferro. Un pozzo di 26 m, che si apre al termine della sala, conduce in uno stretto pertugio dove spariscono le acque drenate nella grotta. La grotta ha restituito reperti archeologici di età neolitica e frammenti di anfore granarie romane. I versanti della dolina sono quasi interamente rivestiti da bosco. La Buca di Goibola è molto ampia e presenta il versante settentrionale più dolce, un tempo occupato da coltivi e oggi rivestito da un denso arbusteto che si prolunga nel bosco, esteso sulla restante parte della dolina. Nel settore occidentale si aprono diversi inghiottitoi, tra i quali quello che dà accesso alla Grotta Novella. Scoperta nel periodo pre-bellico dal GSB, la grotta fu nuovamente esplorata nel 1956 dal Gruppo Grotte Orsoni e raggiunge una profondità di 63 m e uno sviluppo di 400 m. E' caratterizzata da pozzi di estremo interesse morfologico, tra cui quelli dei Cristalli e della Lama (profondi entrambi 18 m), le cui pareti levigate sono impreziosite da cristallizzazioni e concrezionamenti carbonatici, di cui la Novella custodisce gli esempi più grandiosi del bolognese. Le splendide lame sono di colore rosso acceso e arancione, per la presenza di ossidi di ferro, o nero, per quelli di manganese, e presentano la superficie movimentata da protuberanze emisferiche che si accrescono per l'impatto di gocce d'acqua concrezionante (concrezioni da splash). Nel 1971 al suo interno è stato allestito un laboratorio scientifico sotterraneo, che nella sala superiore comprende una sezione dedicata allo studio della fauna di grotta e alla base dei pozzi, dove è attiva l'acqua concrezionante, la strumentazione chimica per lo studio delle modalità di accrescimento dei concrezionamenti calcarei. Per proteggerla dai vandalismi, la grotta è stata chiusa nel 1972. L'attività nel laboratorio sotterraneo è coordinata da GSB-USB e Università di Bologna. Particolarmente complessi sono i sistemi carsici sviluppati nei gessi tra le valli dello Zena e dell'Idice, la cui articolazione è nota solo attraverso indagini idrogeologiche effettuate tramite colorazioni, poiché dal punto di vista speleologico sono percorsi ancora in larga parte inesplorati. In questo ampio settore gessoso si approfondiscono tre grandi depressioni: la valle cieca di Ronzano e le doline dell'Inferno e di Goibola. Le grotte che presentano uno scorrimento idrico attivo, tra cui la Grotta Novella nella dolina di Goibola, e le Coralupi e Louben in quella dell'Inferno, non sono collegate speleologicamente al sistema di ambienti sotterranei che porta le acque in direzione delle risorgenti. Le colorazioni effettuate all'inizio degli anni '70 hanno dimostrato che le acque inghiottite nella valle cieca di Ronzana e parte di quelle assorbite nella dolina dell'Inferno vengono nuovamente a giorno in una risorgente lungo lo Zena (il Fontanazzo?) posta al di sotto della Grotta del Farneto, che di questo sistema rappresenta la risorgente fossile. Una seconda risorgente lungo lo Zena, più a valle della precedente (Grotta Silvio Cioni, risorgente di Cà Masetti), è alimentata dalle acque drenate nei settori più settentrionali della dolina dell'Inferno e da parte di quella di Goibola. La Buca di Ronzana è una valle cieca di grandi dimensioni (seconda solo a quella dell'Acquafredda), chiusa da maestose falesie lungo cui sono evidenziati le spesse banconate selenitiche. L'esposizione soleggiata di questo versante arricchisce la vegetazione di numerose presenze mediterranee fra cui cisto femmina e arbusti sempreverdi di fillirea e leccio. Lungo le maestose falesie selenitiche si apre la Grotta Secca. Scoperta nel 1956 dal Gruppo Orsoni,è una singolarissima grotta si apre. Il nome fa riferimento all'assenza di stillicidio e quindi di fango, una condizione insolita per una grotta nei gessi. La cavità è una tipica grotta tettonica, che si sviluppa lungo un fascio di faglie dove l'azione dell'acqua non è intervenuta a modificare in modo significativo le forme primarie. Raggiunge un dislivello di oltre 100 m in soli 316 m di sviluppo. Le morfologie, dominate dai crolli nella parte iniziale, sono per lo più date da strette crepe che scendono con forti inclinazioni; la grotta si chiude con una angusta fessura dove si è accresciuta, da un tenue scorrimento d'acqua, una splendida colata alabastrina con inglobati limpidissimi cristalli di gesso. Il vicino Buco del Fumo, un inghiottitoio che si apre in prossimità (poco a monte) dell'ingresso della Secca, alla quale è stato speleologicamente unito nel 1993, deve il nome alla fuoriuscita di aria dall'ingresso durante i periodi freddi dell'anno, con emissione di "fumo" dovuto alla condensazione del vapore acqueo. Lungo l'alveo del torrente Idice, all'altezza di Castel de' Britti, l'erosione del torrente ha esposto con continuità la successione degli strati gessosi, che in questo settore sono inclinati verso la pianura di 40° circa. In questo tratto di fiume, oltre ad apprezzare alcune belle forme erosive e una piccola risorgente (attiva solo nei periodi più piovosi), si possono leggere le strutture sedimentarie che testimoniano come è avvenuta la sedimentazione dei gessi. Osservando la successione degli strati, si coglie la fondamentale alternanza di due tipi litologici: i banconi gessosi sono separati da strati di marne. Nei banconi gessosi venne trovato da Luigi Donini un grande tronco fossile gessificato, oggi visibile nel Museo Archeologico di San Lazzaro, a lui dedicato. Verso nord, si assiste al progressivo assottigliamento degli strati gessosi sino alla loro scomparsa, preannunciata da livelli discontinui di gesso tra strati marnosi che poi lasciano il posto a livelli di conglomerati e marne sabbiose di colore nocciola (Formazione a Colombacci) che annunciano la fine della crisi di salinità e il ritorno a condizioni marine normali, in un mare in cui si scaricavano correnti fluviali potenti e canalizzate. Il geosito è compreso all'interno di una più ampia area dichiarata (D.G.R. 258/2016) di notevole interesse pubblico paesaggistico ai sensi del Codice dei Beni culturali e del paesaggio (art.136 del Decreto Legislativo n. 42/2004).Altre informazioni sul geosito
Interessi geoscientifici: Carsico ipogeo - Sedimentologico - Mineralogico - Carsico epigeo - Geomorfologico - Stratigrafico - Geominerario - Idrogeologico;
Geotipi presenti: Bolle di scollamento - Cavità naturale - Dolina - Inghiottitoio - Solchi a candela - Valle cieca - Risorgente carsica - Gesso - Ex cava - Successione stratigrafica - Strutture sedimentarie;
Mappa di inquadramento e rete escursionistica regionale
Geositi vicini
Link utili
Aree di notevole interesse pubblico (https://territorio.regione.emilia-romagna.it/paesaggio/beni-paesaggistici/arch_beni136/bo136)
Archivio documentale degli immobili e aree di notevole interesse pubblico (art. 136 del D.Lgs. n.42/2004) nel territorio bolognese
Bibliografia
"Appennino Tosco Emiliano. Collana: Guide Geologiche Regionali, a cura della Società Geologica Italiana, coordinatore del volume Valerio Bortolotti." - AA. VV. [1992] BE-MA Editrice, Firenze.
Avvertenze
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